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DICONO DI NOI: LA “MESSE C-DUR, OP. 86” SU “L’ARENA”

Verona, 13 ottobre 2021

“[…] è la dimostrazione che la musica d’arte ha un futuro e che il nostro territorio sta lavorando per assicurarglielo”: sono bellissime le parole che la giornalista Elena Biggi Parodi ci ha riservato sulla testata “L’Arena”, nel contesto del concerto che abbiamo tenuto al Teatro Filarmonico di Verona lo scorso 8 ottobre. Parole che ci regalano un’enorme soddisfazione – non solo per il loro significato, ma perché lasciano trasparire esattamente quell’emozione che volevamo trasmettere: sapevamo che salire sul palco del Filarmonico, con un repertorio come questa Messa, sarebbe stata per noi un’esperienza indescrivibile, e l’abbiamo vissuta fino in fondo, in ogni singola nota; e vedere come tutto questo non solo sia stato percepito, ma anche interiorizzato e restituito, è la conferma che il nostro lavoro ha centrato l’obiettivo.

I nostri ringraziamenti vanno in primis al Maestro, Matteo Valbusa, per “quella scintilla in più che rende l’esecuzione una vera interpretazione”; ai solisti Cecilia Rizzetto (soprano), Nina Cuk (contralto), Vincenzo Di Donato (tenore) e Alberto Spadarotto (basso), al coro “Marc’Antonio Ingegneri” e all’orchestra Interpreti Italiani: è stato un vero piacere lavorare con tutti voi.

→ Per guardare l’esecuzione completa della Messa al Teatro Filarmonico
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Di seguito il testo completo dell’articolo:

Possiamo guardare al futuro con ottimismo. Sul palcoscenico del Teatro Filarmonico, venerdì sera, la qualità delle realtà musicali veronesi che si sono esibite, aprendo la rassegna dell’Accademia Filarmonica “La città al concerto”, è stata migliore delle più rosee speranze. L’orchestra Interpreti Italiani con due formazioni corali riunite assieme, “Marc’Antonio Ingegneri” e “Ecclesia Nova”, diretti da Matteo Valbusa, hanno presentato un programma musicale assai importante e impegnativo: l’Ouverture del Coriolano e la Messa in do maggiore di Beethoven.
Il fatto che queste due composizioni, emblematiche della civiltà occidentale, siano state eseguite a questo livello è la dimostrazione che la musica d’arte ha un futuro e che il nostro territorio sta lavorando per assicurarglielo. Non è cosa da poco, significa dare la possibilità alle persone di allargare la ricerca della felicità a piaceri più evoluti e di essere meno succubi dei bisogni materiali. Conviene ripartire dalle radici del mondo occidentale. La messa, nella tradizione musicale cattolica da sempre cantata, dal medioevo in poi impiega le parole dei canti in latino dell’Ordinarium Missae, i testi che rimangono invariati per ogni giorno dell’anno liturgico: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus et Benedictus, Agnus Dei. I compositori intonandoli hanno posto attenzione al contenuto: è ovvio che la sezione del Credo in cui si dice “Crucifixus”, non suggerisca la medesima atmosfera del “Resurrexit”. In una lettera del 16 gennaio 1811 per convincere l’editore Breitkopf a pubblicare la messa composta nel 1807 Beethoven affermava di aver trattato qui “il testo in modo in cui è stato raramente trattato”. E lo è davvero, per i mille modi in cui la musica si combina in questa messa con il significato della preghiera, ma notiamo in particolare nel Gloria l’incantevole parentesi del “Qui tollis peccata mundi”, dove la perorazione del “suscipe deprecationem nostram” (ascolta le nostre preghiere) o nel Credo, il momento dell’”Incarnatus” e ancora sulla parola “passus” (morto), che divengono l’occasione per meravigliosi concertati per le quattro voci soliste con il linguaggio musicale ritenuto allora il più capace di esprimere il significato del testo, ossia l’opera italiana, che a Vienna godeva di una fortuna ininterrotta, da due secoli, da quando era stato importato dal nostro paese. Ottimo il cast vocale con Cecilia Rizzetto, soprano dal timbro bellissimo, Nina Cuk, un vero contralto, il tenore dalla raffinata emissione vocale Vincenzo di Donato, l’autorevole basso Alberto Spadarotto. Grande la prova di Matteo Valbusa, capace di quella scintilla in più che rende l’esecuzione una vera interpretazione. Incisivo, a partire dall’attacco del Coriolano, per la compattezza con cui ha imposto unità e precisione a tutte le forze musicali, la chiarezza con cui ha dipanato le entrate strumentali per le diverse immagini musicali che Beethoven dischiude nella splendida lunghissima Messa: archi capaci di ispirati momenti lirici, impasti dei fiati incantevoli, bene anche i tromboni (come nel Gloria con la dolcissima sottolineatura sulle parole “suscipe”). Valbusa è un direttore abile a rendere mille atteggiamenti musicali diversi: il magnifico Gloria dal piglio guerriero, dove Beethoven punteggia con i timpani parole come “Laudamus te, adoramus te, benedicimus te”, valorizzando i cambiamenti dinamici prescritti dalla partitura, pianissimi ineffabili come lo scoppio emotivo del Resurrexit nel Credo, dopo il bellissimo impasto dei fiati nel Crucifixus. La sua lunga esperienza con questi due cori, oggi divenuti due realtà musicali importanti, ha regalato un’esperienza difficile da incontrare in un ascolto dal vivo, invocazioni d’una umanità di cui ci piace far parte come nel “qui propter nos homines”, e nei meravigliosi momenti fugati finali, costruzioni architettoniche immense, fatte di suoni, squarci di speranza ultraterrena perché tale perfezione combinatoria non può essere figlia del caso.

“L’Arena”, 11 ottobre 2021, articolo di Elena Biggi Parodi (p.57).